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Da Bari

 

dalla Rete Antirazzista di Bari

 

Da stamattina le strade di Bari sono state inondate da un corteo di oltre 300 migranti del C.A.R.A. determinati a richiedere il riconoscimento del permesso di soggiorno. Infatti lo slogan che ha accompagnato tutta la manifestazione è stato “Documento! – No, negativo!”. In seguito una delegazione della manifestazione antirazzista, composta anche da rappresentanti regionali e comunali, ha incontrato i rappresentanti della Prefettura di Bari. L’incontro ha prodotto come unico impegno da parte della Prefettura l’invio entro stasera 5 luglio di una relazione al Ministero degli Interni con la richiesta avanzata dalla delegazione di concedere il permesso di soggiorno a tutti coloro che provengono dalla Libia senza distinzioni di nazionalità.
La minifestazione odierna è scaturita dalla protesta tenutasi il 20 giugno presso la Regione Puglia che ha prodotto l’impegno dell’Ordine degli Avvocati di fornire l’assistenza legale e il gratuito patrocinio per i ricorrenti che hanno già avuto il diniego.
I migranti di varie nazionalità che lavoravano in Libia e in seguito alla guerra sono fuggiti e arrivati in Italia hanno trovato solo il diniego della richiesta di asilo politico in quanto la loro provenienza viene riconosciuta in base alla loro nazionalità e non in base al territorio di provenienza, ovvero la Libia. Inoltre nel territorio pugliese ci sono migranti provenienti dall’Afghanistan, dall’Iraq, dal Kurdistan (cosiddetti “casi Dublino)” in attesa del riconoscimento da oltre 10 mesi.
La reteantirazzista di Bari continuerà a sostenere le ragioni dei migranti fuggiti dalla Libia a causa delle guerra in corso, per il riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario per tutti. Davanti alla realtà pugliese che vede la presenza dei C.I.E. di Bari e Restinco di cui chiediamo la chiusura insieme ai cosiddetti centri di accoglienza C.A.R.A. e la vergognosa tendopoli di Manduria di cui ancora oggi non si conosce la natura giuridica.

 


Salute Pubblica: basta CIE!

da www.salutepubblica.net

 

L’ennesima denuncia del garante dei detenuti torna a mettere il dito nella piaga.

Il CIE è un carcere.

La carcerazione vissuta come ingiusta e, per la precisione, effettivamente ingiusta, determina reazioni psicologiche e psicosomatiche negative inducendo sofferenza e, a volte, aggressività.

Non occorre essere esperti in psicologia sociale per constatare la diversità di clima, in tutte le carceri, tra sezione penale e sezione giudiziaria.

Troppo semplice poi strumentalizzare, sull’onda dell’attuale inquietante revival di criteri lombrosiani, questa aggressività nei casi, rari, in cui essa si presenta.

Noi continuiamo a denunciare il CIE come anticostituzionale e ne chiediamo la chiusura.

Ma, fuori dalla logica del “mettere le tendìne rosa al carcere “, ci associamo alla denuncia del garante avv. Desi Bruno.

Per questo dobbiamo insistere su una proposta finora rimasta inascoltata :

che il CIE venga incluso nelle visite/rapporti semestrali delle Ausl;

di carcere si tratta e come un carcere deve essere gestito dal punto di vista del monitoraggio da parte delle agenzie istituzionali che si occupano di salute.

Non riteniamo che sia del tutto infondata la eventuale obiezione secondo cui il CIE non è esplicitamente citato nei siti da visitare; se è per questo la legge di riforma carceraria è precedente a quella di riforma sanitaria e quindi le Usl non vengono citate nel momento in cui il parlamento legifera per l’affidamento (al Medico provinciale) della supervisione igienico-sanitaria delle carceri;

le norme vanno interpretate salvo che dirigenti ed operatori dell’Ausl vogliano autoridursi a fotocopiatori piuttosto che a protagonisti dei percorsi di tutela della salute.

In questa vicenda pare congruo ispirarsi ad uno degli slogans del movimento delle donne , vale a dire “visitare i luoghi difficili” nel senso di essere il più possibile presenti proprio nei luoghi della maggiore sofferenza umana e sociale; perché questo è oggi il CIE per le persone recluse ma anche per gli stessi operatori, sia militari che civili.

Purtroppo non solo questa nostra proposta è rimasta, da sempre, inascoltata, ma si fanno passi indietro anche nelle modalità di gestione dei rapporti semestrali delle carceri.

La sinergia tra chi non vuol cambiare e chi indulge in ruoli da “fotocopiatore” è il cemento armato di istituzioni totali che vogliono sopravvivere gattopardescamente a tutti i costi.

Facciamo una udienza conoscitiva pubblica sul tema invitando chiunque voglia contribuire alla discussione; rompiamo il silenzio, non rendiamoci complici.

Prof. Vito Totire    Salute Pubblica


Indifferenza

Questo è il testo dell’intervento che abbiamo voluto leggere in occasione della “Festa dei Popoli”. L’intento era quello di dare voce, in una piazza multicolore e danzante, a chi non ha la stessa fortuna, e si ritrova recluso, maltrattato e, peggio, dimenticato o ignorato da chi dovrebbe fare qualcosa, o quanto meno indignarsi.

Odio gli indifferenti. L’indifferenza è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia, è la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la falsità, è ciò su cui non si può contare. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti è dovuto all’indifferenza e all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perchè alcuni vogliono che avvenga, quanto perchè la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Per quanto altro ancora dovrà durare questa indifferenza? Quando la nostra rabbia e la nostra denuncia arriverà alle coscienze di tutti?

Vicino alla nostra città, a Restinco, esiste un CIE, centro di identificazione ed espulsione, nel quale sono rinchiusi i migranti perchè ritenuti colpevoli di essere privi di documenti. Sappiamo tutti che i reati amministrativi non prevedono una detenzione come previsto per i reati penali. Essere clandestino NON deve essere considerato reato.
E’ inaccettabile che la logica del terrore, la paura del diverso venga fomentata dal governo stesso, e che quest’ultima plasmi le nostre coscienze a tal punto da aderire o tollerare leggi xenofobe e razziste, come l’ultimo decreto-legge che prolunga la detenzione per l’identificazione fino ai 18 mesi, mentre prevede per i reati penali l’espulsione immediata.
I CIE non sono luoghi d’accoglienza, bensì dei lager, in cui i diritti inalienabili e la dignità dell’uomo vengono annullati.
I tentativi di fuga e gli atti di autolesionismo che si sono verificati e che continuano tutt’ora all’interno di queste strutture possono rendere chiara la condizione disumana in cui sono costretti a vivere.
Colui che rimane indifferente e silente dopo aver saputo la verità può considerarsi complice.
Affinchè tutti i CIE vengano chiusi, ognuno deve trovare i modi e gli spazi per manifestare pubblicamente il proprio dissenso e la propria indignazione.


Fare finta di niente

http://www.youtube.com/watch?v=k5ygm-ayNnM&feature=player_embedded

 

Non pensarci troppo, può rovinarti la giornata. Cosa c’è stasera in giro? Andiamo a fare l’happy hour?


Multinazionali della detenzione

L’articolo che segue lo potete trovare su www.attac.it , è un ottimo report sulla gestione dei centri di detenzione per migranti in Italia. La ricerca parte dall’analisi della gara di appalto per l’assegnazione del Cie di Gradisca d’Isonzo, avanguardia delle scelte che poi ricadono su tutti i cie (ricorderete qui i primi focolai di rivolta dei migranti e anche le prime pesanti misure repressive per spezzare sul nascere qualsiasi rivendicazione). Ma Gradisca è anche il primo esempio delle difficoltà di Connecting People a reperire i finanziamenti necessari per avviare le attività. Avevate già letto che le banche non avevano molti soldi da fornire al consorzio. Ora cominciamo a leggere di queste ATI (associazioni temporanee d’impresa), meccanismo puramente economico attraverso il quale la multinazionale più grande che vi partecipa ha agevolazioni enormi per ottenere finanziamenti, che poi mette a disposizione delle altre società partecipanti. Quasi a dire, trovami i soldi e il lavoro sporco lo faccio io. Notate come queste società si occupano addirittura del reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, o peggio ancora, di promozione di interventi a favore dei migranti. Appare evidente come sia sempre più stretto il rapporto tra multinazionali, lavoro, detenzione e “servizi” alla persona.

da Attac Italia

Dopo il “caso-Mineo”, è in arrivo il secondo caso di privatizzazione spinta in fatto di reclusione dei migranti. Dal 1 giugno, infatti, in caso di rigetto del ricorso del Consorzio Connecting People (precedente gestore), il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) e il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) saranno gestiti da una multinazionale francese della detenzione (di migranti e non) legata a filo doppio a Gdf-Suez.

Aggiudicataria della gara d’appalto indetta dalla locale prefettura è infatti l’associazione temporanea d’impresa (ATI) che vede capofila la società francese GEPSA, in associazione con l’altra società francese Cofely Italia, la cooperativa romana Synnergasia e l’associazione agrigentina Acuarinto.

La privatizzazione della carcerazione in Italia passa, quindi, attraverso la detenzione amministrativa delle persone straniere, vero e proprio “laboratorio” per la prossima estensione alle carceri del modello statunitense di gestione della pena detentiva. Con l’aggravante, se così si può dire, che la struttura comprende anche la gestione dell’adiacente Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, che per legge non prevede (a differenza del CIE) il trattenimento coatto dei suoi occupanti. Ciononostante, la sua conduzione sarà tra breve affidata alle società che qui sotto esaminiamo.

Iniziamo da Gepsa: l’acronimo sta per Gestion Etablissements Penitenciers Services Auxiliares: una SpA francese con sede in rue Henri Sainte-Claire Deville a Rueil-Malmaison, che (sito ufficiale di Cofely-GDF Suez),  – traduciamo dal sito – è una “filale di Cofely” e “partecipa al funzionamento di stabilimenti penitenziari nel quadro dei mercati multitecnici e multiservizi”. Gepsa nasce nel 1990 e viene definita come “uno dei partner principali dell’Amministrazione Penitenziaria [francese, NdA]”, per cui “interviene in 15 stabilimenti a gestione mista”. Tra le sue finalità c’è quella di “riavvicinare le persone detenute al mercato del lavoro”. Inoltre Gepsa gestisce in Francia, “per conto del Ministero degli Interni, 4 centri di detenzione amministrativa, oltre alla base militare di Versailles Satory per conto del Ministero della Difesa”. Quanto al suo dimensionamento, conta su 270 collaboratori, 34 stabilimenti gestiti in Francia (tra cui i centri di detenzione amministrativa); inoltre forma 1500 persone detenute e propone 1600 proposte di avviamento al lavoro ogni anno, che diventano 182 inserimenti professionali effettivi.

Come si è detto, Gepsa è una filiale di Cofely, società del gruppo multinazionale GDF-Suez, in testa alle classifiche mondiali delle privatizzazioni dei servizi energetici: Cofely, in articolare, si occupa di energie alternative: la sua presenza all’interno del partenariato è la meno attinente al tema, ma è pur vero che Cofely rappresenta all’esterno il marchio GDF Suez.

Molto più attinenti al tema dell’immigrazione le realtà italiane coinvolte: della cooperativa Synergasia, sede a Roma, si sa che dal 21 luglio 2010 gestisce, in accordo con l’Ufficio della Commissione Nazionale Immigrazione, il sito WikiMigration: se ne può quindi prevedere un intervento nel campo della comunicazione interna ed esterna alle strutture. Piuttosto sorprendente, infine, la presenza nell’ATI dell’associazione Acuarinto di Agrigento, organizzazione fino ad oggi attiva nel campo della promozione sul proprio territorio di interventi a favore di migranti e rifugiati.

5 maggio 2011 Roberto Guaglianone – Attac Saronno


Dalla stazione al Cie

da Indymedia Piemonte

14 maggio. Dieci tra i tunisini che occupano la stazione di Ventimiglia sono stati fermati dalla polizia col pretesto di una rissa e portati nel carcere di Sanremo. Tre giorni dopo, privati del permesso di soggiorno temporaneo, sono stati condotti al Cie di c.so Brunelleschi di Torino, nel quale si trovano attualmente. Non si sa precisamente in che modo sia avvenuto il fermo e sia stato reso possibile il trasferimento nel Cie, né quali siano le accuse a loro carico e la loro situazione legale. Quello che è importante sottolineare è ciò che l’arbitrarietà di questo atto repressivo dimostra: come i permessi e le scartoffie non siano che strumenti di controllo e ricatto e quanto poco ci si possa affidare alle garanzie concesse dal potere. Che sia almeno da monito ad essere sordi verso le facili concessioni


Bari Palese: blocco dei binari

dalla Repubblica di Bari

Sta tornando alla normalità la circolazione ferroviaria, sospesa dalle 11.35 alle 14.15 tra le fermate di Bari Zona Industriale e Bari Palese, per l’occupazione dei binari da parte di un gruppo di immigrati ospiti del vicino “Cara” di Palese, il Centro di Identificazione Richiedenti Asilo. Il traffico ferroviario è ripreso dopo l’intervento delle squadre tecniche del Gruppo FS, necessario a verificare l’integrità dei binari e il regolare funzionamento dei sistemi di sicurezza.

LE MOTIVAZIONI – Circa 150 immigrati quasi tutti di nazionalità africana hanno protestano in seguito alla bocciatura delle loro richieste di asilo che avrebbero ricevuto ieri dalla Commissione ministeriale competente. “Vogliamo sapere la verità sulle nostre richieste, altrimenti non andremo via da qui – spiegano – anche perchè molti di noi, dopo cinque mesi di attesa nel Cara, ieri hanno scoperto che devono tornarsene a casa: ci auguriamo che la nostra protesta si estenda”. I migranti mostrano cartelloni con le scritte “Documents ora”, “Go away” e “Non vogliamo rilasciare le impronte digitali, ma vogliamo i nostri documenti”‘.Sostegno alla protesta è stata espressa dal Collettivo antirazzista di Sinistra Critica.

DISAGI AL TRAFFICO – In mattinata si sono avvertiti disagi alla circolazione ferroviaria: lo stop ha causato la cancellazione di 25 treni regionali e ritardi medi di circa due ore per quattro convogli a lunga percorrenza. Trenitalia ha attivato servizi sostitutivi per i viaggiatori con bus-navette tra Bari e Foggia e fornito assistenza e informazioni ai circa 8 mila viaggiatori coinvolti. Per altri treni in arrivo sono stati già preannunciati ritardi da parte delle Ferrovie dello Stato. Il traffico ferroviario è ripreso – fa sapere Ferrovie dello Stato – dopo l’intervento delle squadre tecniche del Gruppo FS.

SOSTENITORI DELLA PROTESTA – L’occupazione dei binari ferroviari alle porte di Bari da parte dei migranti cui è stato rifiutato l’asilo politico in Italia è “la logica conseguenza della esasperazione dovuta alla incapacità delle istituzioni nel dare risposte chiare e precise, e delle politiche razziste e xenofobe dei nostri governi nazionali e locali celati da false politiche solidali”. Lo afferma “Sinistra critica” per la quale la protesta “rappresenta una forma di ribellione rispetto alla repressione che tutti i migranti in Italia ed in tutta Europa subiscono quotidianamente”. “Solidarizziamo con le proteste dei migranti del Cara di Bari per la libertà di circolazione, con la loro richiesta di documenti – conclude – e di una vita dignitosa”.

LA PAROLA DEL PREFETTO
– Interviene sulla vicenda il prefetto vicario del capoluogo pugliese Antonella Bellomo:”Abbiamo spiegato che possono fare ricorso contro il diniego e nel frattempo nessuno li manderà via dal Cara di Bari. Purtroppo – ha aggiunto – probabilmente davano per scontato che le loro richieste sarebbero state accolte: adesso le esamineremo caso per caso”.

CASI DUBLINO – Un problema a parte sono i “cosiddetti casi Dublino – ha spiegato il prefetto Bellomo – che riguardano coloro che hanno presentato le domande in altri Stati europei. A Bari di “casi Dublino” ce ne sono in tutto 80, la metà dei quali proviene dalla Grecia. Per presentare i ricorsi contro il diniego, i migranti dovranno sostenere spese legali. Chi le pagherà? “Ci sono alcune associazioni – ha continuato – e anche il Comune di Bari che si sono offerti di aiutarli”.
“I migranti vorrebbero tutti un permesso temporaneo, come è accaduto per i tunisini, per lavorare e circolare. Ma questo può deciderlo solo il governo. Noi a Bari – ha concluso Bellomo – non abbiamo la soluzione a tutti i loro problemi”.


Restinco: fuga riuscita!

Per una volta siamo qui a darvi una buona notizia. Un ragazzo, tunisino di 26 anni, nel pomeriggio di ieri  13 maggio è riuscito a fuggire dal cie di Restinco. A tutt’ora non sono ben note le dinamiche. Sicuramente la fuga è stata rocambolesca, considerazione intuibile dal fatto che il fuggitivo presentava numerosi tagli sul corpo ed era senza scarpe. Ha camminato per ore in aperta campagna, poi la fortuna ha voluto che incontrasse delle persone che gli hanno offerto prima assistenza e lo hanno rifocillato. Ha passato la notte in una struttura sicura, stamane sembra sia stato accompagnato ad una stazione, e da lì è partito verso la destinazione che voleva raggiungere.

Usiamo il condizionale sia per l’obbligo di riferire solo le notizie certe, ma anche per la volontà di non interferire con il difficile percorso verso la libertà che questo ragazzo sta affrontando.

Indispensabile dire che queste sono le notizie che ci riempiono di gioia. Quando una reclusione, ingiusta in ogni caso, viene spezzata dall’iniziativa diretta e viene aiutata da chi ha deciso di opporsi a detenzioni e deportazioni, questo non può che essere una vittoria per noi. Ci sono molti modi per sabotare questo infame sistema di caccia all’immigrato. Per una volta noi siamo complici. E felici. Auguriamo al ragazzo di riuscire a soddisfare i propri desideri. Seguiranno aggiornamenti.

 


La piccola Guantanamo

Chissà se adesso il leader dei sinistri, Marco Travaglio, l’amico dei Santoro e dei Grillo, quello che ha fatto della (presunta) legalità la sua bandiera, brandendola ogni giorno contro Berlusconi quasi fosse una sua ossessione personale, forse credendo che i problemi italiani siano legati solo all’attuale classe politica che governa questo paese, chissà se adesso avrà imparato cosa è un cie. Impegnato com è, giorno e notte, a leggere le carte processuali del premier e a fare spettacoli teatrali incentrati sul rispetto della costituzione e della legalità, forse non si era accorto dell’esistenza di lager per migranti autorizzati, appunto, dalla legge. Adesso il suo giornale pubblica un’intervista ed un video sul neo-nato cie di Santa Maria Capua Vetere, presunto centro d’accoglienza per stranieri nato con l’emergenza degli sbarchi e diventato, dalla sera alla mattina, un cie, tramite un decreto del ministro Maroni. Ora, se qualcuno gli chiedesse cosa ne pensa dei cie, si spera che non risponda più come fece ad alcuni di noi, prima di un suo spettacolo, dicendo ” io dei cie non so nulla, sono di Torino”. Dopo il cie campano, lo invitiamo a documentarsi su quello di Corso Brunelleschi, proprio a Torino. Chissà che magari non scopra che la legalità molto spesso giustifica crimini orrendi.

Questo è il video, da vedere:

Questo è l’articolo da Il Fatto Quotidiano:

Samir: “La mia prigionia  nelle tende blu del Cie”

Chiuso in un campetto circondato da una rete. Osservato giorno e notte dagli agenti. Costretto in una tenda con dieci persone. E alla fine, magari, rispedito in Tunisia. Per finire nella “piccola Guantanamo”, come viene chiamata dai migranti, Samir ha dato tutti i risparmi agli scafisti e ha rischiato di morire su un relitto fino a Lampedusa. “Sarai ospitato in un centro di accoglienza”, gli hanno detto portandolo a Santa Maria Capua Vetere. E invece lo hanno rinchiuso in questo campo di calcio che con un decreto è stato trasformato in Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Una specie di prigione.

Difficile accertare come siano trattati gli “ospiti” del Cie di Santa Maria Capua Vetere. Entrare è impossibile. Devi salire all’ultimo piano di uno dei condomini che si affacciano sulla vecchia caserma che ospita il campo. Da lassù capisci: da una parte il carcere militare, dall’altra la caserma. Nel campo ecco una quarantina di tende blu. Intorno decine di poliziotti e carabinieri con le camionette. Gli immigrati sono costretti a passare le giornate dentro le tende.

Lo chiamano Cie, ma ricorda un po’ le immagini del Sudamerica negli anni Settanta: “Il 26 aprile quei disperati si sono ribellati: hanno cercato di scavalcare il muro di cinta alto sei metri. C’erano ragazzi che cadevano, che si ferivano con i cocci di bottiglia in cima al muro. Urla, sangue. Decine sono scappati, gli altri sono rimasti al campo”, racconta Luisa, una donna che dal suo appartamento si vede davanti la scena. Ma che cosa è successo davvero a Santa Maria Capua Vetere? Gli avvocati Cristian Valle e Antonio Coppola hanno raccolto i racconti di Samir e dei suoi compagni nei verbali della polizia: “Ci hanno portato qui il 18 aprile. Nonostante ci dicessero che avremmo avuto un permesso di soggiorno temporaneo, da quel giorno è come se fossimo in prigione. Addirittura il 21 aprile il governo ha trasformato il campo in un Cie, senza nemmeno che fossimo avvertiti”. Quando i tunisini apprendono che la struttura che doveva accoglierli, curarli e restituirli alla libertà, si è trasformata in una prigione, scoppia la ribellione che il 26 aprile porta alla maxi-evasione. Da quel momento le condizioni di detenzione per chi non è riuscito a fuggire diventano durissime. “Dicono che abbiamo firmato un foglio che li autorizzava a trattenerci, ma non è vero”, raccontano gli immigrati nei verbali.

Già, il primo punto è questo: “Le autorità dicono che i tunisini avrebbero autorizzato la polizia a trattenerli. Ma gli immigrati a noi raccontano di aver firmato per ottenere i vestiti. Alcuni giurano che le firme non sono le loro”, sostiene Mimma D’Amico del centro sociale Ex Canapificio di Caserta. Mimma è una ragazza con gli occhi azzurri che contrastano con questo ambiente duro. Con i suoi amici da anni segue gli immigrati, a cominciare dagli africani che a due passi da qui, a Casal di Principe, vivono – e vengono uccisi – come bestie.

I ragazzi dell’Ex Canapificio, insieme con la Caritas, seguono i tunisini del campo: “Abbiamo presentato un esposto. Non si può trasformare l’assistenza in detenzione”.

Ma in mezzo all’ondata di decine di migliaia di immigrati, i 102 ospiti di Santa Maria Capua Vetere sono stati dimenticati. È Abdul, il nome è di fantasia, a raccontare la loro storia: “Siamo 11 per ogni tenda, senza vestiti. Ci lasciano andare in bagno una volta al giorno… dobbiamo fare i nostri bisogni nelle bottiglie. E non possiamo nemmeno andare in infermeria… siamo trattati come animali. Di notte c’è freddo, ci hanno dato solo una coperta. Siamo costretti a dormire sempre perché non c’è la luce”. Abdul adesso potrebbe essere rispedito in Tunisia: “Sarebbe una tragedia. Ben Alì se n’è andato, ma ci sono i suoi amici. La gente come noi che ha partecipato alle manifestazioni rischia grosso”.

Tutto vero? Questo raccontano Abdul e i suoi amici. Di sicuro i tunisini secondo la legge avrebbero il diritto di essere ascoltati uno per uno. Dovrebbero essere ospitati in condizioni dignitose, anche se negli ultimi giorni (da quando la Croce Rossa gestisce il campo) le tende sono meno affollate e i controlli più elastici.

Il racconto di Abdul trova comunque conferme nelle parole di Marco Perduca, senatore radicale (gruppo Pd) che ha visitato il campo: “Questo centro è fuori della legge. Non può ospitare persone addirittura per sei mesi. Non si può stare così… nei giorni scorsi ha piovuto, ci sono materassi bagnati, gente che dorme praticamente per terra. E poi mancano controlli sanitari: se ci fossero persone con malattie infettive qui non si saprebbe. Per non dire dei feriti… ho visto persone ingessate, altre con tumefazioni che potrebbero essere provocate da scontri fisici”. Non basta: “Le persone che richiedono assistenza non dovrebbero stare nel Cie, invece noi abbiamo visto anche famiglie, perfino un minore… gente che vive ignorando che cosa li aspetta”.

Dalla Prefettura di Caserta la raccontano diversamente: “Gli immigrati vivono in condizioni dignitose. Emergenze? C’è stata una fuga di massa. Qualcuno si è ferito scavalcando il muro”. Gli immigrati dicono che non vi hanno mai autorizzato a trattenerli… “Hanno firmato di loro spontanea volontà”. Gli agenti del campo, però, sussurrano: “Qui è un casino: da una parte ci sono questi poveracci, dall’altra ci arrivano ordini da Roma. E noi siamo in mezzo”.

La signora Luisa dalla finestra della sua casa sorride amara: “Mi sembra impossibile che quei ragazzi abbiano firmato per essere trattati così. Chissà… parlano arabo, non capiscono una parola di italiano, se un carabiniere gli dice di firmare un foglio che cosa volete che facciano?”. Poi Luisa guarda lontano, verso la campagna di Casal di Principe, verso l’orizzonte, dove si vede il bagliore del mare, Napoli: “Questa è una terra difficile. Abbiamo un sacco di guai per conto nostro, ma quei ragazzi fanno pena. Chissà cosa direbbero le loro madri se li vedessero ridotti così”.

Caro Travaglio, TUTTI i cie sono una vergogna.


Tunisini di Lampedusa a Parigi

Leggiamo e diffondiamo volentieri:

da http://cettesemaine.free.fr/  e   http://informa-azione.info/

Nel gioco dell’oca a cui sono costretti gli immigrati tunisini, la frontiera francese non è certo l’arrivo. Dopo essere sopravvissuti alla traversata in mare, essere passati fra la rete poliziesca italiana od essere riusciti ad evadere da CIE e campi vari, aver passato la frontiera eludendo i blocchi della polizia francese… si ricomincia!
Nelle ultime due settimane ci sono state imponenti e continue retate “au faciès” (vengono presi di mira solo quelli che hanno la “faccia da arabo”) nelle principali città francesi, in particolare a Parigi. Ovviamente non ci sono cifre esatte, ma c’è chi parla di un migliaio sulla sola Parigi. Sembrerebbe, ma anche questa non è cosa sicura, che gli arrestati vengano trattenuti qualche giorno (altre fonti dicono due settimane), schedati (dati, foto, impronte digitali) e rilasciati con un foglio di via dal territorio francese. Testimoni hanno visto gli sbirri strappare davanti ai tunisini i pezzi di carta dati loro dalle autorità italiane (i cosiddetti permessi di soggiorno temporanei) … Continue reading