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Tra un ricordo sbiadito e un vivo presente

(A proposito dell’affondamento della Kater i Rades)


A prima vista potrebbe sembrare un’opera meritoria: una scultura che ricorda una tragedia potrà far si che quell’avvenimento rimanga impresso indelebilmente nella mente di chi vi passerà vicino. Eppure qualcosa non torna…Il 28 marzo 1997 una nave carica di immigrati albanesi viene affondata al largo del canale di Otranto dalla nave Sibilla della marina militare italiana, provocando ottantuno vittime. Non è stato il caso, non sono state le condizioni del mare particolarmente avverse, vi sono stati dei responsabili precisi. La giustizia, quella democratica, ha fatto il suo corso, trovando, come spesso accade in questi casi, una soluzione alla “Ponzio Pilato”. Poco importa la sua conclusione, lo Stato non condanna mai se stesso. Ora di questa tragedia si vorrebbe fare un evento da commemorare con un’opera scultorea apprezzabile da addetti ai lavori come un’importante opera d’arte. Per ricordare e farne un inno all’incontro, all’umano bisogno di storie, afferma uno dei testi di presentazione dell’evento. Il fatto è che da commemorare non c’è proprio nulla, perché sono ancora vive nelle nostre menti le grida di chi, cadendo in mare ha perso la vita o i suoi parenti. Vive sono le urla di chi ancora oggi, al largo delle coste del Salento, (l’ultimo naufragio è del 27 novembre scorso – 3 immigrati morti e 30 dispersi) o del Mediterraneo, perde la vita in cerca di una speranza di sopravvivenza. Viva è la rabbia e la disperazione di chi in Italia riesce ad arrivarci ma viene impacchettato e rispedito subito indietro, oppure rinchiuso, fino a diciotto mesi, in Centri di Identificazione ed Espulsione perché non ha un documento regolare. La stessa Otranto che si vanta di essere città dell’accoglienza, dichiarata patrimonio dell’Unesco, è anch’essa un anello di questo sistema dell’esclusione. Il suo centro di accoglienza temporanea “Don Tonino Bello” funge infatti da anticamera proprio verso quei rimpatri e verso quei Cie che sospendono il tempo e la vita di migliaia di immigrati. Questo è ciò che ha deciso il diritto democratico, questo ciò che ha deciso l’Economia, di cui gli Stati sono solo un’appendice (ce ne saremo ormai resi conto?). Migliaia di immigrati sono rinchiusi perché la loro vita deve essere contenuta, proprio come la nostra, trasformata ormai in un’appendice della merce e della tecnica. Anche per chi non è straniero infatti, la reclusione  non è cosa così lontana. Nuovi ghetti, nuove aree videosorvegliate, nuove carceri sono pronte a contenere chi semplicemente afferra ciò che non può permettersi, oppure alza la testa davanti a sempre nuovi padroni. Per questo non abbiamo nulla da commemorare ed è per questo che  un senso di fastidio e un moto di rabbia ci assale quando sentiamo di queste iniziative. Perché non serviranno a cancellare le morti in mare, perché non libereranno coloro che sono rinchiusi, perché non fermeranno la mano razzista di chi ammazza chi ritiene diverso. Perché non impediranno ad associazioni come “Integra” , tra i fautori dell’evento, di continuare a lucrare sugli immigrati che da quei centri passano (un esempio è il campo di Manduria). La memoria può essere sovversiva se all’umano bisogno di storie sostituisce l’umano bisogno della libertà.


Presidio domenica 11 dicembre

Il presidio che si terrà l’11 Dicembre, dalle ore 10,30 alle ore 13,30, presso il CIE/CARA di Restinco (BR) ha come principale obiettivo quello di comunicare ai reclusi e a coloro che vorranno ascoltare, la nostra totale opposizione all’esistenza stessa dei “centri d’identificazione ed espulsione”. Chiediamo l’immediata chiusura di tali strutture, considerabili a tutti gli effetti e in assenza di eufemismi, i lager della democrazia.

La reclusione fino a 18 mesi di individui la cui sola colpa è quella di non possedere un documento è considerabile, oggettivamente, ingiusta e disumana. Gli innumerevoli tentativi di fuga, gli atti di autolesionismo, gli scioperi della fame e le ribellioni che si verificano nel CIE di Restinco, e in tutti gli altri centri dislocati sul territorio italiano, spiegano che i migranti detenuti hanno consapevolezza della loro condizione e non hanno più voglia di rimanere in  silenzio.

In quel giorno noi saremo lì a dire che sosteniamo la loro lotta e ci uniamo a loro. Considerare ingiusta la limitazione della libertà di un individuo implica considerare atto di giustizia il tentativo di evadere dal centro. Sosteniamo tutte le loro forme di ribellione, che per quanto estreme a volte si presentino, nulla sono rispetto alla violenza  e azl razzismo di cui questi lager sono espressione e di cui i migranti sono vittime. Esprimeremo la nostra solidarietà nei confronti di tutti i migranti che hanno cercato una via di fuga e non sono riusciti a raggiungere la libertà e che sono ora detenuti nelle prigioni italiane.

L’indifferenza e il silenzio hanno sempre reso la strada che porta alle ingiustizie, facile da percorrere. Noi vogliamo renderla irta di ostacoli e intransitabile, dichiarando di non voler essere complici di simili mostruosità. Musica e percussioni africane faranno da contorno alla lettura di comunicati e alla possibilità per ognuno di esprimere la propriaidea. Invitiamo coloro che decideranno di partecipare al presidio di munirsi di strumenti il cui suono sia in grado di sfondare i muri che imprigionano.

nociebr.noblogs.org

 


Domenica 4 a Bari

Da Rosarno alla rivolta del Cara di Bari, due anni di lotte migranti!

Domenica 4 dicembre presso Auditorium Federidìco II via Latilla 13 Bari

Negli ultimi due anni i segmenti di lotta migrante si sono rivelati inediti ma soprattutto mossi dalla necessità di rendere visibile la propria condizione e dalla rivendicazione di diritti violati e abusati. Questo processo, di annientamento dei diritti, che vede sdoganata xenofobia e razzismo, è legittimato da un assetto legislativo che parte dalla legge Turco/Napolitano,  prima, e la Bossi/Fini, dopo, e dal Pacchetto Sicurezza che fonda le sue radici in una matrice ideologica dichiaratamente antiumanitaria.
Oggi, dopo l’esodo dalla Libia, oltre 25.000 Richiedenti Asilo sono ospitati all’interno del piano di accoglienza della  protezione civile. Enti del privato sociale, organizzazione ecclesiastiche e strutture alberghiere gestiscono a propria discrezione l’accoglienza dei migranti con sistemi tra loro disomogenei. I migranti pur provenendo dalla Libia ma nati in Ciad, Nigeria, Sudan, Mali, Ghana ecc rischiano che la loro domanda venga rigettata dalle Commissioni Territoriali e i ricorsi oltre che onerosi si rivelino inutili il più delle volte. Tutto questo meccanismo non tutela le migliaia di persone, costrette a lasciare la Libia, in quanto aventi diritto di protezione umanitaria ma anzi li costringe, divenendo “clandestini”, all’estrema invisibilità sul territorio.
Questo Razzismo Istituzionale non considera i migranti come soggetti di diritto ma come un qualcosa da amministrare all’interno delle cosiddette soglie di tolleranza e quote di ingresso, riducendo persone a pura manovalanza a basso costo sfruttata e schiavizzata, creando dinamiche di estrema Ricattabilità ma anche di Clandestinizzazione in quanto l’ottenimento del permesso di soggiorno è vincolato al contratto di lavoro.
L’assetto legislativo del Governo, sostenuto dalle delibere delle Amministrazioni locali, ha negli anni utilizzato il lavoro migrante come ambito in cui sperimentare nuove forme di sfruttamento e precarizzazione del mondo del lavoro.
La rivolta di Castel Volturno e quella di Rosarno hanno accelerato un processo di consapevolezza sfociato e reso palese attraverso lo Sciopero Migrante del 1°Marzo  2010 che ha visto la partecipazione di oltre 300.000 persone. Tra il lavoro nero gestito dai caporali, quello a chiamata e quello interinale i migranti hanno elaborato forme di lotta e vertenze rendendosi avanguardia.
La composizione sociale della popolazione migrante estremamente eterogenea dal punto di vista vertenziale è stata in grado di promuovere mobilitazioni su tutto il territorio nazionale. La rivolte del 1°agosto al  CARA di Bari repressa e criminalizzata, gli scioperi della fame e della sete nei CIE, la protesta dei migranti tunisini prima a Lampedusa e poi a Manduria, lo sciopero dei Braccianti di Nardò, l’occupazione della Gru a Brescia e la mobilitazione dei migranti provenienti dalla Libia sono forme di protesta autorganizzate che rivendicano diritti ferocemente violati da misure repressive.
Le condizioni disumane a cui sono sottoposti i migranti, sovraffollamento delle strutture di accoglienza, carenza di acqua e cibo nei CARA, violenze e torture e pestaggi nei CIE dove vige  l’annientamento dello stato di diritto, protezione umanitaria negata a migranti provenienti dalla Libia e non considerati profughi, schiavismo del caporalato e sfruttamento dei braccianti, inadeguatezza dei sistemi di prima accoglienza e accoglienza diffusa, le deportazioni di massa, rappresentano il fallimento totale delle politiche migratorie.
Come Collettivo Antirazzista intendiamo promuovere iniziative pubbliche  a sostegno delle lotte migranti, denunciare queste condizioni significa anche porre l’attenzione sulle condizioni in cui vivono migliaia di lavoratori italiani e promuovere la possibilità di intersecare i percorsi di lotta e innalzare il livello del conflitto sociale rivendicando i diritti e autodeterminazione.

Dalle h 17 Mostra Fotografica a cura di “Rumore Collettivo”
Ore 18 Proiezione del Documentario “Uno stato di cose” del gruppo Farfa, cinema sociale pugliese, regia di Domenico De Ceglia.                                                                                                                                                                                                               A seguire dibattito e presentazione del libro “La Normale Eccezione. Lotte di migranti in Italia” Ed. Alegre.

Durante l’iniziativa sarà promossa una raccolta fondi per l’assistenza legale ai migranti arrestati durante la rivolta del 1° agosto al CARA di Bari Palese.

gruppo antirazzista pugliese


Chiamiamoli per nome, chiamiamoli omicidi

Bocconi di rabbia ed amarezza per ogni notizia annunciata dai “giornalisti col marchio”. 3 morti, forse 35 i dispersi, tutti gli altri spediti nel cara/cie di Restinco, dopo neanche tre ore dalla tragedia. Li abbiamo visti salire su un pullman scortati dagli uomini in divisa, illuminati in viso dalla luce di una videocamera invadente, e disturbati dalle domande di una giornalista tutta intenta a sottolineare la massima efficienza delle forze dell’ordine e a rassicurare gli ascoltatori che i “clandestini sono tutti adulti” e che “saranno accompagnati nel centro di accoglienza di Restinco”.
Lo yacht di 11 metri è ancora lì, incastrato fra gli scogli della costa di Torre S.Sabina, ondeggia con violenza e, minaccioso, lascia immaginare ciò che è accaduto solo poche ore prime. Si cercano i cadaveri, si aspetta che i corpi vengano sbattuti sugli scogli dalle onde, aggressive e letali.
“Colpa del forte vento, colpa del mare troppo agitato”…e l’ennesimo vortice di rabbia si anima nello stomaco, e riporta alla mente tutte le tragedie che diventano la notizia di pochi minuti, che si smaterializzano in poche ore, che scompaiono dalla mente come scompaiono dalla vista i migranti, chiusi velocemente nei c.i.e. affinché nessuno veda, affinché nessuno sappia .
Saremo di fronte al c.i.e. di Restinco l’11 Dicembre, a denunciare a gran voce che la colpa di tragedie come quella di ieri non è imputabile alla forza inarrestabile del vento e alla rabbia incontrollabile del mare, ma alle leggi razziste dell’insaziabile Europa che vieta ai migranti di raggiungerla senza il pericolo di morire affogati, evitando di esser buttati in mare da scafisti/criminali, senza la paura di esser visti dalla polizia.
Saremo di fronte al c.i.e. ad urlare che la disumanità con la quale si decide di chiudere uomini scampati alla morte in posti come il lager di Restinco non sarà mai tollerata, che non daremo pace a nessuno fino a quando tutti i Centri di identificazione non saranno chiusi e fino a quando ogni recluso non diverrà uomo libero.


Tradizioni pugliesi: Manduria

Provate a leggere questo articolo pubblicato sull’edizione di Bari della Repubblica. Vorrebbe raccontare delle intenzioni della politica di chiudere il campo-lager di Manduria, perchè, a quanto si legge dalle dichiarazioni del solito Berluschese-Ferrarese, presidente della provincia di Brindisi, “le condizioni di vita nel campo sono allucinanti”. Beh, qualcuno penserà che sia già un buon passo, il fatto che questo individuo si sia reso conto di dove vive (lui) e di dove vivono (gli immigrati) che sbarcano a Lampedusa e vengono portati in queste tendopoli-lager.

Oltre a queste dichiarazioni,  solite parole al vento della politica più squallida, quella che non cambia mai niente poichè è nella staticità e nella continuazione dello stato di cose che essa sguazza e fa quattrini, naturalmente i fatti vanno in tutt’altra direzione. A Manduria ora sono in 1300, esattamente come nei primi giorni dell’emergenza mediatica, (ma ora ci sono anche donne e bambini molto piccoli)  dopo l’arrivo dell’ennesima nave a Taranto. Quindi aumentano. Le temperature, per chi non ne avesse idea, in questi giorni sono più simili ai paesi di provenienza dei migranti, sfiorano i 40 gradi, e i signori dell’emergenza, i vari Connecting people e Ministero degli Interni hanno pensato bene di installare condizionatori all’interno delle tende…una mossa geniale.

Infine altre dichiarazioni di politici tra assessori regionali, sindaco di Brindisi e l’immancabile governatore con l’orecchino, che danno disponibilità all’uso di una vecchia base americana abbandonata da decenni per ospitare i migranti rinchiusi a Manduria, a patto che venga ristrutturata con i soldi del governo, mantenendo la gestione attuale, quindi quella del consorzio Nuvola. Forse un tentativo di alleviare le sofferenze di chi, con un contratto da sfruttamento e nessuna prospettiva futura, fa la spola da qualche mese tra il campo di Manduria ed il Cie di Restinco. La base sorge infatti a pochi chilometri dal lager per eccellenza del brindisino, quel Cie conosciuto oramai in tutta Italia per gli episodi barbari che lì avvengono continuamente, anche se ora l’isolamento dei reclusi con il mondo esterno  si è fatto più pesante.

Insomma, la Puglia è terra di tradizioni, e l’accoglienza è una di queste…accendete il condizionatore, che non si respira…


Dal Salento

dalla Repubblica di Bari

Nardò, allerta per il campo immigrati

di Chiara Spagnolo

NARDÒ – L’effetto Manduria si propaga come un’onda fino a Nardò. Nei campi delle angurie gli immigrati arrivano a frotte dalla vicina tendopoli, ma anche da altre regioni, e la masseria Boncuri, allestita per accoglierli, già non basta più. Duecento sono i posti ufficialmente disponibili nelle tende blu schierate davanti all’antica struttura a cui si aggiungono una cinquantina di giacigli improvvisati ma le persone in cerca di lavoro nell’area compresa tra Nardò, Copertino, Leverano e Porto Cesareo, sono molte di più. Almeno 800, nei giorni scorsi, destinate ad arrivare fino a 1.500 intorno alla fine della prossima settimana, quando nel Palermitano terminerà la raccolta delle patate e i contadini a giornata punteranno dritti verso il sud della Puglia. Sono in prevalenza tunisini ma anche algerini, ghanesi e sudanesi. Molti orbitano nel circuito degli stagionali e girano il Meridione seguendo il ritmo delle colture, alcuni sono ex lavoratori di Tecnova, che nei campi salentini hanno ritrovato i caporali che li sfruttavano nei parchi fotovoltaici in costruzione.

Il caporalato, tra i filari di cocomeri, è legge. Sistema che piace alle aziende, perché consente un controllo capillare delle squadre di immigrati, che vengono retribuiti a cassone quando raccolgono pomodori e a ettaro se si tratta di angurie. In entrambi i casi il lavoro è duro e malpagato. Le giornate, piegati sulla terra dall’alba al tramonto, fruttano circa 25 euro ma le prestazioni avvengono per lo più in nero. Certo, la situazione oggi è cambiata rispetto a pochi anni fa ma lo sfruttamento è ancora un’evidenza innegabile. I passi avanti fatti nei campi di Nardò li raccontano i numeri che snocciola Gianluca Nigro, della onlus brindisina Finis Terrae, che, tramite un progetto finanziato per 18.000 euro, gestisce la masseria trasformata in campo insieme alle Brigate di solidarietà attiva.

“Nel 2008 il lavoro era solo irregolare  –  spiega Nigro  –  nel 2009 furono fatti 10 ingaggi, 200 l’estate scorsa, quest’anno siamo già arrivati a 70”. Settanta “fortunati”, che lavorano in modo regolare. La maggior parte di loro orbita intorno alla masseria Boncuri, presidio di civiltà e legalità alle porte di Nardò. Gli altri, rimasti fuori, si arrangiano come possono nei casolari abbandonati, dove la notte si affollano spacciatori e prostitute, e dove nei prossimi giorni arriveranno altre centinaia di persone. Troppe per campi ormai poco redditizi, nei quali il costo del lavoro si abbasserà ancora di più.


Indifferenza

Questo è il testo dell’intervento che abbiamo voluto leggere in occasione della “Festa dei Popoli”. L’intento era quello di dare voce, in una piazza multicolore e danzante, a chi non ha la stessa fortuna, e si ritrova recluso, maltrattato e, peggio, dimenticato o ignorato da chi dovrebbe fare qualcosa, o quanto meno indignarsi.

Odio gli indifferenti. L’indifferenza è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia, è la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la falsità, è ciò su cui non si può contare. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti è dovuto all’indifferenza e all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perchè alcuni vogliono che avvenga, quanto perchè la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Per quanto altro ancora dovrà durare questa indifferenza? Quando la nostra rabbia e la nostra denuncia arriverà alle coscienze di tutti?

Vicino alla nostra città, a Restinco, esiste un CIE, centro di identificazione ed espulsione, nel quale sono rinchiusi i migranti perchè ritenuti colpevoli di essere privi di documenti. Sappiamo tutti che i reati amministrativi non prevedono una detenzione come previsto per i reati penali. Essere clandestino NON deve essere considerato reato.
E’ inaccettabile che la logica del terrore, la paura del diverso venga fomentata dal governo stesso, e che quest’ultima plasmi le nostre coscienze a tal punto da aderire o tollerare leggi xenofobe e razziste, come l’ultimo decreto-legge che prolunga la detenzione per l’identificazione fino ai 18 mesi, mentre prevede per i reati penali l’espulsione immediata.
I CIE non sono luoghi d’accoglienza, bensì dei lager, in cui i diritti inalienabili e la dignità dell’uomo vengono annullati.
I tentativi di fuga e gli atti di autolesionismo che si sono verificati e che continuano tutt’ora all’interno di queste strutture possono rendere chiara la condizione disumana in cui sono costretti a vivere.
Colui che rimane indifferente e silente dopo aver saputo la verità può considerarsi complice.
Affinchè tutti i CIE vengano chiusi, ognuno deve trovare i modi e gli spazi per manifestare pubblicamente il proprio dissenso e la propria indignazione.


Appello per la Kater i Rades

Facciamo nostro e diffondiamo un appello per un presidio davanti al tribunale di Lecce, in occasione della sentenza della Corte d’Appello sull’affondamento della nave carica di migranti che costò la vita ad un centinaio di albanesi in fuga dal loro paese in guerra civile. Questo non perchè una sentenza possa modificare, in un senso o nell’altro, le responsabilità di quella strage, quanto per testimoniare, ai familiari ed ai sopravvissuti, che non sono gli unici ad aver capito la realtà di quel venerdì santo intriso di sangue.

Il 28 giugno 2011, al tribunale di Lecce, sarà emessa una sentenza attesa 14 anni dai familiari e i superstiti della Kater i Rades che chiedono di avere giustizia per il centinaio di uomini, donne e bambini che perirono nello speronamento della nave albanese da parte della corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana nel marzo del 1997, nel canale d’Otranto. Grandi sono le preoccupazioni da parte degli avvocati che patrocinano gli interessi degli albanesi sul rischio che il 28 giugno possa scaturire un giudizio che veda assolto lo stato italiano e la Marina per quella strage, capovolgendo il giudizio di primo grado emesso dal Tribunale di Brindisi. I timori provengono dalla requisitoria della Pubblica Accusa, a dir poco benevola nei confronti della Marina e dello Stato Italiano, ma anche dal clima politico attuale che vede a livello nazionale forze come la Lega fare della lotta all’immigrazione clandestina il cavallo di battaglia e leva di ricatto nei confronti del traballante governo Berlusconi. Ricordiamo come, quegli esponenti leghisti, che nel marzo 1997 invocavano di prendere a cannonate gli albanesi che fuggivano dall’Albania in piena guerra civile, oggi sono gli stessi che chiedono che le navi della NATO ( e quindi anche dell’Italia ) si facciano carico di bloccare coloro che fuggono dalla Libia in fiamme, tra combattimenti, bombardamenti e stragi di civili. Così , tra l’ipocrisia generale, si sta celebrando in queste ore la Giornata Mondiale del Rifugiato, tra convegni e visite di attrici famose improvvisatesi ad ambasciatrici ONU a Lampedusa, tra lacrimucce , belle parole e promesse di premi Nobel per l’isola , mentre ben altra è la realtà che debbono affrontare i migranti che cercano di arrivare in Italia ed in Europa. Facciamo appello a tutte le forze antirazziste pugliesi di esser presenti la mattina del 28 giugno2011 ( dalle ore 9 circa) dinanzi al tribunale di Lecce ad un presidio di solidarietà ai parenti delle vittime albanesi ma anche a tutti i migranti che con le nuove norme segregazioniste , quali quella dei 18 mesi di reclusione nei CIE , sono trattati come se fossero tra i peggiori criminali e che, se venissero accolte le richieste leghiste sull’embargo correrebbero il rischio di veder aumentare ancor di più le tragedie del mare che sino ad ora hanno mietuto migliaia di vittime, comprese quelle della Kater i Rades.

Osservatorio sui Balcani di Brindisi  –  Antirazzisti brindisini


Multinazionali della detenzione

L’articolo che segue lo potete trovare su www.attac.it , è un ottimo report sulla gestione dei centri di detenzione per migranti in Italia. La ricerca parte dall’analisi della gara di appalto per l’assegnazione del Cie di Gradisca d’Isonzo, avanguardia delle scelte che poi ricadono su tutti i cie (ricorderete qui i primi focolai di rivolta dei migranti e anche le prime pesanti misure repressive per spezzare sul nascere qualsiasi rivendicazione). Ma Gradisca è anche il primo esempio delle difficoltà di Connecting People a reperire i finanziamenti necessari per avviare le attività. Avevate già letto che le banche non avevano molti soldi da fornire al consorzio. Ora cominciamo a leggere di queste ATI (associazioni temporanee d’impresa), meccanismo puramente economico attraverso il quale la multinazionale più grande che vi partecipa ha agevolazioni enormi per ottenere finanziamenti, che poi mette a disposizione delle altre società partecipanti. Quasi a dire, trovami i soldi e il lavoro sporco lo faccio io. Notate come queste società si occupano addirittura del reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, o peggio ancora, di promozione di interventi a favore dei migranti. Appare evidente come sia sempre più stretto il rapporto tra multinazionali, lavoro, detenzione e “servizi” alla persona.

da Attac Italia

Dopo il “caso-Mineo”, è in arrivo il secondo caso di privatizzazione spinta in fatto di reclusione dei migranti. Dal 1 giugno, infatti, in caso di rigetto del ricorso del Consorzio Connecting People (precedente gestore), il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) e il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) saranno gestiti da una multinazionale francese della detenzione (di migranti e non) legata a filo doppio a Gdf-Suez.

Aggiudicataria della gara d’appalto indetta dalla locale prefettura è infatti l’associazione temporanea d’impresa (ATI) che vede capofila la società francese GEPSA, in associazione con l’altra società francese Cofely Italia, la cooperativa romana Synnergasia e l’associazione agrigentina Acuarinto.

La privatizzazione della carcerazione in Italia passa, quindi, attraverso la detenzione amministrativa delle persone straniere, vero e proprio “laboratorio” per la prossima estensione alle carceri del modello statunitense di gestione della pena detentiva. Con l’aggravante, se così si può dire, che la struttura comprende anche la gestione dell’adiacente Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, che per legge non prevede (a differenza del CIE) il trattenimento coatto dei suoi occupanti. Ciononostante, la sua conduzione sarà tra breve affidata alle società che qui sotto esaminiamo.

Iniziamo da Gepsa: l’acronimo sta per Gestion Etablissements Penitenciers Services Auxiliares: una SpA francese con sede in rue Henri Sainte-Claire Deville a Rueil-Malmaison, che (sito ufficiale di Cofely-GDF Suez),  – traduciamo dal sito – è una “filale di Cofely” e “partecipa al funzionamento di stabilimenti penitenziari nel quadro dei mercati multitecnici e multiservizi”. Gepsa nasce nel 1990 e viene definita come “uno dei partner principali dell’Amministrazione Penitenziaria [francese, NdA]”, per cui “interviene in 15 stabilimenti a gestione mista”. Tra le sue finalità c’è quella di “riavvicinare le persone detenute al mercato del lavoro”. Inoltre Gepsa gestisce in Francia, “per conto del Ministero degli Interni, 4 centri di detenzione amministrativa, oltre alla base militare di Versailles Satory per conto del Ministero della Difesa”. Quanto al suo dimensionamento, conta su 270 collaboratori, 34 stabilimenti gestiti in Francia (tra cui i centri di detenzione amministrativa); inoltre forma 1500 persone detenute e propone 1600 proposte di avviamento al lavoro ogni anno, che diventano 182 inserimenti professionali effettivi.

Come si è detto, Gepsa è una filiale di Cofely, società del gruppo multinazionale GDF-Suez, in testa alle classifiche mondiali delle privatizzazioni dei servizi energetici: Cofely, in articolare, si occupa di energie alternative: la sua presenza all’interno del partenariato è la meno attinente al tema, ma è pur vero che Cofely rappresenta all’esterno il marchio GDF Suez.

Molto più attinenti al tema dell’immigrazione le realtà italiane coinvolte: della cooperativa Synergasia, sede a Roma, si sa che dal 21 luglio 2010 gestisce, in accordo con l’Ufficio della Commissione Nazionale Immigrazione, il sito WikiMigration: se ne può quindi prevedere un intervento nel campo della comunicazione interna ed esterna alle strutture. Piuttosto sorprendente, infine, la presenza nell’ATI dell’associazione Acuarinto di Agrigento, organizzazione fino ad oggi attiva nel campo della promozione sul proprio territorio di interventi a favore di migranti e rifugiati.

5 maggio 2011 Roberto Guaglianone – Attac Saronno


Gli schiavi del sole

Green economy? No, schiavitù. E devastazione del territorio. Il caso Tecnova.

grazie a Contrada Tripoli

il video è di Rainews24

http://www.youtube.com/watch?v=AfNmd23HJEQ