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Questo è il blog del gruppo NO-CIE BRINDISI. nociebrindisi@autistici.org

Salute Pubblica: basta CIE!

da www.salutepubblica.net

 

L’ennesima denuncia del garante dei detenuti torna a mettere il dito nella piaga.

Il CIE è un carcere.

La carcerazione vissuta come ingiusta e, per la precisione, effettivamente ingiusta, determina reazioni psicologiche e psicosomatiche negative inducendo sofferenza e, a volte, aggressività.

Non occorre essere esperti in psicologia sociale per constatare la diversità di clima, in tutte le carceri, tra sezione penale e sezione giudiziaria.

Troppo semplice poi strumentalizzare, sull’onda dell’attuale inquietante revival di criteri lombrosiani, questa aggressività nei casi, rari, in cui essa si presenta.

Noi continuiamo a denunciare il CIE come anticostituzionale e ne chiediamo la chiusura.

Ma, fuori dalla logica del “mettere le tendìne rosa al carcere “, ci associamo alla denuncia del garante avv. Desi Bruno.

Per questo dobbiamo insistere su una proposta finora rimasta inascoltata :

che il CIE venga incluso nelle visite/rapporti semestrali delle Ausl;

di carcere si tratta e come un carcere deve essere gestito dal punto di vista del monitoraggio da parte delle agenzie istituzionali che si occupano di salute.

Non riteniamo che sia del tutto infondata la eventuale obiezione secondo cui il CIE non è esplicitamente citato nei siti da visitare; se è per questo la legge di riforma carceraria è precedente a quella di riforma sanitaria e quindi le Usl non vengono citate nel momento in cui il parlamento legifera per l’affidamento (al Medico provinciale) della supervisione igienico-sanitaria delle carceri;

le norme vanno interpretate salvo che dirigenti ed operatori dell’Ausl vogliano autoridursi a fotocopiatori piuttosto che a protagonisti dei percorsi di tutela della salute.

In questa vicenda pare congruo ispirarsi ad uno degli slogans del movimento delle donne , vale a dire “visitare i luoghi difficili” nel senso di essere il più possibile presenti proprio nei luoghi della maggiore sofferenza umana e sociale; perché questo è oggi il CIE per le persone recluse ma anche per gli stessi operatori, sia militari che civili.

Purtroppo non solo questa nostra proposta è rimasta, da sempre, inascoltata, ma si fanno passi indietro anche nelle modalità di gestione dei rapporti semestrali delle carceri.

La sinergia tra chi non vuol cambiare e chi indulge in ruoli da “fotocopiatore” è il cemento armato di istituzioni totali che vogliono sopravvivere gattopardescamente a tutti i costi.

Facciamo una udienza conoscitiva pubblica sul tema invitando chiunque voglia contribuire alla discussione; rompiamo il silenzio, non rendiamoci complici.

Prof. Vito Totire    Salute Pubblica


Indifferenza

Questo è il testo dell’intervento che abbiamo voluto leggere in occasione della “Festa dei Popoli”. L’intento era quello di dare voce, in una piazza multicolore e danzante, a chi non ha la stessa fortuna, e si ritrova recluso, maltrattato e, peggio, dimenticato o ignorato da chi dovrebbe fare qualcosa, o quanto meno indignarsi.

Odio gli indifferenti. L’indifferenza è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia, è la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la falsità, è ciò su cui non si può contare. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti è dovuto all’indifferenza e all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perchè alcuni vogliono che avvenga, quanto perchè la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Per quanto altro ancora dovrà durare questa indifferenza? Quando la nostra rabbia e la nostra denuncia arriverà alle coscienze di tutti?

Vicino alla nostra città, a Restinco, esiste un CIE, centro di identificazione ed espulsione, nel quale sono rinchiusi i migranti perchè ritenuti colpevoli di essere privi di documenti. Sappiamo tutti che i reati amministrativi non prevedono una detenzione come previsto per i reati penali. Essere clandestino NON deve essere considerato reato.
E’ inaccettabile che la logica del terrore, la paura del diverso venga fomentata dal governo stesso, e che quest’ultima plasmi le nostre coscienze a tal punto da aderire o tollerare leggi xenofobe e razziste, come l’ultimo decreto-legge che prolunga la detenzione per l’identificazione fino ai 18 mesi, mentre prevede per i reati penali l’espulsione immediata.
I CIE non sono luoghi d’accoglienza, bensì dei lager, in cui i diritti inalienabili e la dignità dell’uomo vengono annullati.
I tentativi di fuga e gli atti di autolesionismo che si sono verificati e che continuano tutt’ora all’interno di queste strutture possono rendere chiara la condizione disumana in cui sono costretti a vivere.
Colui che rimane indifferente e silente dopo aver saputo la verità può considerarsi complice.
Affinchè tutti i CIE vengano chiusi, ognuno deve trovare i modi e gli spazi per manifestare pubblicamente il proprio dissenso e la propria indignazione.


Appello per la Kater i Rades

Facciamo nostro e diffondiamo un appello per un presidio davanti al tribunale di Lecce, in occasione della sentenza della Corte d’Appello sull’affondamento della nave carica di migranti che costò la vita ad un centinaio di albanesi in fuga dal loro paese in guerra civile. Questo non perchè una sentenza possa modificare, in un senso o nell’altro, le responsabilità di quella strage, quanto per testimoniare, ai familiari ed ai sopravvissuti, che non sono gli unici ad aver capito la realtà di quel venerdì santo intriso di sangue.

Il 28 giugno 2011, al tribunale di Lecce, sarà emessa una sentenza attesa 14 anni dai familiari e i superstiti della Kater i Rades che chiedono di avere giustizia per il centinaio di uomini, donne e bambini che perirono nello speronamento della nave albanese da parte della corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana nel marzo del 1997, nel canale d’Otranto. Grandi sono le preoccupazioni da parte degli avvocati che patrocinano gli interessi degli albanesi sul rischio che il 28 giugno possa scaturire un giudizio che veda assolto lo stato italiano e la Marina per quella strage, capovolgendo il giudizio di primo grado emesso dal Tribunale di Brindisi. I timori provengono dalla requisitoria della Pubblica Accusa, a dir poco benevola nei confronti della Marina e dello Stato Italiano, ma anche dal clima politico attuale che vede a livello nazionale forze come la Lega fare della lotta all’immigrazione clandestina il cavallo di battaglia e leva di ricatto nei confronti del traballante governo Berlusconi. Ricordiamo come, quegli esponenti leghisti, che nel marzo 1997 invocavano di prendere a cannonate gli albanesi che fuggivano dall’Albania in piena guerra civile, oggi sono gli stessi che chiedono che le navi della NATO ( e quindi anche dell’Italia ) si facciano carico di bloccare coloro che fuggono dalla Libia in fiamme, tra combattimenti, bombardamenti e stragi di civili. Così , tra l’ipocrisia generale, si sta celebrando in queste ore la Giornata Mondiale del Rifugiato, tra convegni e visite di attrici famose improvvisatesi ad ambasciatrici ONU a Lampedusa, tra lacrimucce , belle parole e promesse di premi Nobel per l’isola , mentre ben altra è la realtà che debbono affrontare i migranti che cercano di arrivare in Italia ed in Europa. Facciamo appello a tutte le forze antirazziste pugliesi di esser presenti la mattina del 28 giugno2011 ( dalle ore 9 circa) dinanzi al tribunale di Lecce ad un presidio di solidarietà ai parenti delle vittime albanesi ma anche a tutti i migranti che con le nuove norme segregazioniste , quali quella dei 18 mesi di reclusione nei CIE , sono trattati come se fossero tra i peggiori criminali e che, se venissero accolte le richieste leghiste sull’embargo correrebbero il rischio di veder aumentare ancor di più le tragedie del mare che sino ad ora hanno mietuto migliaia di vittime, comprese quelle della Kater i Rades.

Osservatorio sui Balcani di Brindisi  –  Antirazzisti brindisini


Tempi difficili

Dice un cantante romano più o meno famoso:

c’è chi ha detto “basta adesso è troppo, mo me riposo, poi, domani lotto”, s’è risvegliato ch’era tutto rotto.

Sono tempi terribili. Non vi sono certezze, tutto è messo in discussione, persino le cose basilari come l’accesso all’acqua, o il bisogno di una casa, o la possibilità di decidere le sorti della terra dove si vive, o la possibilità di scegliersi un posto tranquillo dove andare a vivere (possibilmente migliore di quello di provenienza).

Sono tempi bui. Chi ha il potere sente, come noi comuni mortali, l’avvicinarsi del punto di non ritorno (ma forse lo abbiamo già passato da tempo), e allora, o tenta di mettere delle pezze, per allontanare  la rabbia che inevitabilmente le diseguaglianze portano con loro, oppure tira dritto, e con campagne informative che hanno solo il sapore del lavaggio del cervello, diffonde paura e dice: va bene la protesta, ma pacifica, altrimenti sarà leggittimato l’uso della forza.

Provate a spiegare ai migranti pestati e maltrattati nei cie d’Italia che devono starsene buoni e zitti.

Provate a spiegare a un valliggiano della ValSusa che i metodi per la protesta devono essere democraticamente accettati.

Spiegate ad un precario, ad un disoccupato o ad uno studente che l’unico modo per ottenere il proprio futuro sia quello di votare per il cambiamento.

Spiegate ad una donna che ha subito violenza che non le accadrà mai più.

Spiegate ad una famiglia sotto sfratto che un’occupazione è illegale e controproducente.

Lasciate stare. Con quell’immigrato non potrete neanche parlarci, recluso com è in un lager, impegnato a scansare i colpi di maganello o i lacrimogeni che irritano e  incendiano.

Il precario o il disoccupato, saranno ancora in giro a cercare un lavoro che non sia una forma di schiavitù (legalizzata o meno, poco conta).

Il valliggiano ti guarderà, sorridendo per le cose che dici, ma continuerà a tagliare alberi da mettere di traverso sulle sue strade.

Quella famiglia, poi, sarà impegnata a rendere dignitosa e abitabile l’ennesima casa vuota e abbandonata, e non avrà certo il tempo per annusare nell’aria il cambiamento, quell’illusione tutta tua.

Mi piace, e perciò lo faccio, dedicare un pensiero a tutti quelli che oggi dovranno lasciare la propria casa, senza avere un altro posto dove vivere.

Dedico un altro pensiero a tutti quelli che oggi apriranno il rubinetto dell’acqua e non ne avranno, perchè il pubblico, l’acqua, te la taglia lo stesso, se non hai soldi.

Dedico queste parole a tutti i miei fratelli rinchiusi solo perchè sono nati poveri, o in mezzo ad una guerra. In particolare voglio salutare un amico, M., che per fuggire da un lager è finito in un carcere.

Poi voglio salutare tutti quelli che in carcere ci finiscono perchè non hanno abbassato la testa, e non essendosi ravveduti là dentro ci marciranno.

A tutti quelli che invece fanno finta di niente, guardano altrove, anche se tutto ciò gli accade sotto casa, solo il massimo disprezzo. E le mie più sentite scuse, se vi ho smorzato gli entusiasmi o il vento ora si è fatto fastidioso.

 


Fare finta di niente

http://www.youtube.com/watch?v=k5ygm-ayNnM&feature=player_embedded

 

Non pensarci troppo, può rovinarti la giornata. Cosa c’è stasera in giro? Andiamo a fare l’happy hour?


Barricate e scarponi.

Inserisco, a titolo personale, un breve resoconto della notte appena trascorsa in Val Susa.  La domanda potrebbe essere legittima: cosa hanno da spartire le esperienze di lotta contro i Cie con i No-Tav? Semplice: le lotte, per essere vere, devono necessariamente partire dal basso, non dalle istituzioni nè da momenti che sono istituzionali, e ognuna di queste lotte può essere sempre presa come esempio da seguire. I No-Tav, lasciatemelo dire, sono un esempio per tutti.

Resistenza No Tav. Barricate e scarponi

Notte tra il 23 e il 24 maggio. Il tam tam del movimento suona frenetico. Tutti al presidio Picapera di Vaie. Ci risiamo. La partita sul Tav torna a giocarsi in strada. Alle 21 nel prato davanti al Picapera l’assemblea dura poco: i movimenti di truppe, gli alberghi di Susa pieni di strani turisti, le veline dei giornalisti che assediano il movimento sono indizi che vanno tutti nella stessa direzione. Sarà per questa notte. Da sabato 21 maggio il presidio della Maddalena di Chiomonte è diventato permanente, le sedi di Martina e Ital.co.ge.dei fratelli Lazzaro, le ditte che hanno vinto l’appalto fantasma per la recinzione e l’allestimento del cantiere, sono presidiate dai No Tav. Non c’è bisogno di tante parole: il movimento è deciso a impedire la realizzazione del cantiere, non un chiodo deve essere piantato. Alcuni vanno a Susa per tenere d’occhio Italcoge e Martina, altri si fanno giri per la valle, altri ancora controllano la caserma di via Veglia a Torino. Ovunque ci sono occhi e orecchie. La maggior parte della gente parte per Chiomonte a rinforzare il presidio. Per qualche ora le motoseghe fanno sentire la loro musica. Sulla strada che dalla centrale Enel porta al sito archeologico della Maddalena cadono alberi, si ammassano pezzi di guardrail e vecchie traversine, qualche masso, tutto quel che c’è serve ad erigere la barricata. Alla fine solo su questa strada ce ne saranno ben sei. Altre chiudono ogni accesso da strade e sentieri. La notte è bella ma solo una falce di luna illumina le centinaia di No Tav, sparsi nei boschi, nel breve tratto di sterrata limitrofo all’autostrada. Tante ombre solidali si incrociano tra brevi brillii di lampadine tascabili. Continue reading


Multinazionali della detenzione

L’articolo che segue lo potete trovare su www.attac.it , è un ottimo report sulla gestione dei centri di detenzione per migranti in Italia. La ricerca parte dall’analisi della gara di appalto per l’assegnazione del Cie di Gradisca d’Isonzo, avanguardia delle scelte che poi ricadono su tutti i cie (ricorderete qui i primi focolai di rivolta dei migranti e anche le prime pesanti misure repressive per spezzare sul nascere qualsiasi rivendicazione). Ma Gradisca è anche il primo esempio delle difficoltà di Connecting People a reperire i finanziamenti necessari per avviare le attività. Avevate già letto che le banche non avevano molti soldi da fornire al consorzio. Ora cominciamo a leggere di queste ATI (associazioni temporanee d’impresa), meccanismo puramente economico attraverso il quale la multinazionale più grande che vi partecipa ha agevolazioni enormi per ottenere finanziamenti, che poi mette a disposizione delle altre società partecipanti. Quasi a dire, trovami i soldi e il lavoro sporco lo faccio io. Notate come queste società si occupano addirittura del reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, o peggio ancora, di promozione di interventi a favore dei migranti. Appare evidente come sia sempre più stretto il rapporto tra multinazionali, lavoro, detenzione e “servizi” alla persona.

da Attac Italia

Dopo il “caso-Mineo”, è in arrivo il secondo caso di privatizzazione spinta in fatto di reclusione dei migranti. Dal 1 giugno, infatti, in caso di rigetto del ricorso del Consorzio Connecting People (precedente gestore), il Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) e il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) saranno gestiti da una multinazionale francese della detenzione (di migranti e non) legata a filo doppio a Gdf-Suez.

Aggiudicataria della gara d’appalto indetta dalla locale prefettura è infatti l’associazione temporanea d’impresa (ATI) che vede capofila la società francese GEPSA, in associazione con l’altra società francese Cofely Italia, la cooperativa romana Synnergasia e l’associazione agrigentina Acuarinto.

La privatizzazione della carcerazione in Italia passa, quindi, attraverso la detenzione amministrativa delle persone straniere, vero e proprio “laboratorio” per la prossima estensione alle carceri del modello statunitense di gestione della pena detentiva. Con l’aggravante, se così si può dire, che la struttura comprende anche la gestione dell’adiacente Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo, che per legge non prevede (a differenza del CIE) il trattenimento coatto dei suoi occupanti. Ciononostante, la sua conduzione sarà tra breve affidata alle società che qui sotto esaminiamo.

Iniziamo da Gepsa: l’acronimo sta per Gestion Etablissements Penitenciers Services Auxiliares: una SpA francese con sede in rue Henri Sainte-Claire Deville a Rueil-Malmaison, che (sito ufficiale di Cofely-GDF Suez),  – traduciamo dal sito – è una “filale di Cofely” e “partecipa al funzionamento di stabilimenti penitenziari nel quadro dei mercati multitecnici e multiservizi”. Gepsa nasce nel 1990 e viene definita come “uno dei partner principali dell’Amministrazione Penitenziaria [francese, NdA]”, per cui “interviene in 15 stabilimenti a gestione mista”. Tra le sue finalità c’è quella di “riavvicinare le persone detenute al mercato del lavoro”. Inoltre Gepsa gestisce in Francia, “per conto del Ministero degli Interni, 4 centri di detenzione amministrativa, oltre alla base militare di Versailles Satory per conto del Ministero della Difesa”. Quanto al suo dimensionamento, conta su 270 collaboratori, 34 stabilimenti gestiti in Francia (tra cui i centri di detenzione amministrativa); inoltre forma 1500 persone detenute e propone 1600 proposte di avviamento al lavoro ogni anno, che diventano 182 inserimenti professionali effettivi.

Come si è detto, Gepsa è una filiale di Cofely, società del gruppo multinazionale GDF-Suez, in testa alle classifiche mondiali delle privatizzazioni dei servizi energetici: Cofely, in articolare, si occupa di energie alternative: la sua presenza all’interno del partenariato è la meno attinente al tema, ma è pur vero che Cofely rappresenta all’esterno il marchio GDF Suez.

Molto più attinenti al tema dell’immigrazione le realtà italiane coinvolte: della cooperativa Synergasia, sede a Roma, si sa che dal 21 luglio 2010 gestisce, in accordo con l’Ufficio della Commissione Nazionale Immigrazione, il sito WikiMigration: se ne può quindi prevedere un intervento nel campo della comunicazione interna ed esterna alle strutture. Piuttosto sorprendente, infine, la presenza nell’ATI dell’associazione Acuarinto di Agrigento, organizzazione fino ad oggi attiva nel campo della promozione sul proprio territorio di interventi a favore di migranti e rifugiati.

5 maggio 2011 Roberto Guaglianone – Attac Saronno


Gli schiavi del sole

Green economy? No, schiavitù. E devastazione del territorio. Il caso Tecnova.

grazie a Contrada Tripoli

il video è di Rainews24

http://www.youtube.com/watch?v=AfNmd23HJEQ


Italia, dormi pure!

Questo video è stato girato in Spagna pochi giorni fa. Le proteste dilagano, la gente comune scende in piazza in maniera spontanea, la polizia fa il suo solito mestiere. E in Italia? In Italia si sta bene!


Venezia dice Welcome. Accoglienza degna

da Melting Pot

Con i 24 posti messi a disposizione dalla cooperativa Caracol all’interno del centro sociale Rivolta di Marghera, in un vero e proprio centro di accoglienza che d’inverno ospita i senza fissa dimora, la lettera per un’accoglienza degna lanciata dalla Rete di associazioni veneziane Tuttiidirittiumanipertutti può davvero concretizzarsi nell’inizio di un’avventura straordinaria.

Questa mattina, nel giardino del centro, una trentina di persone rappresentanti di tante realtà anche molto diverse tra loro hanno infatti raccontato ai giornalisti locali cosa intendono loro per “dignità” e “accoglienza”, in controtendenza con le campagne propagandistiche che hanno negli ultimi mesi strumentalizzato l’arrivo e la presenza dei profughi in fuga dal Maghreb.

Questa parte della “società civile” veneziana ha infatti scelto di rispondere a modo suo alle richieste della Prefettura e della Regione Veneto, che arrivano in questi giorni dopo settimane di vaghezza e ambiguità rispetto a quando sarebbero arrivati questi migranti e a quali risorse si sarebbero rese disponibili per loro.

Ognuno, tra le associazioni, i gruppi e i singoli cittadini che hanno firmato la lettera, metterà a disposizione ciò che può all’interno di un progetto unitario e condiviso che è anche la proposta concreta di un modello sociale diverso da quello della paura e del razzismo: la Caracol il suo centro di accoglienza; l’associazione il Villaggio delle risorse economiche per contribuire all’ospitalità di altri profughi qualora i posti non fossero sufficienti; la Cgil il proprio staff legale e una mensa; l’Agesci un servizio di assistenza diretta alle persone; Razzismo Stop insieme a Melting Pot Europa le attività di orientamento e assistenza legale; la scuola di volontari Liberalaparola i corsi di italiano intensivi e l’accompagnamento ai servizi sul territorio; i circoli Arci i propri spazi come centri di raccolta di ogni materiale utile, così come faranno anche i centri sociali Rivolta e Morion i cui attivisti si sono inoltre offerti di collabrorare alla gestione del centro di accoglienza.
E poi ci sarà Emergency con il suo poliambulatorio che farà gli straordinari e con il suo gruppo di volontari pronti ad ogni collaborazione, e ancora i volontari del terzo mondo Magis, Manitese, ma anche gli Ultras antirazzisti del Gate 22 VFMC e il coordinamento degli studenti medi di Venezia Mestre che mobiliteranno anche le scuole per partecipare a quella che hanno definito un’iniziativa di grande valore culturale, sociale e politico. Continue reading