Accadeva, vent’anni orsono, nella notte tra il 6 ed il 7 marzo del 1991, che la città di Brindisi vedeva arrivare una moltitudine di gente, stipata come sardine, su carrette del mare che chissa’ come facessero a rimanere in piedi…molti brindisini si svegliarono la mattina e, guardando il mare, videro questa immensa distesa umana sulla banchina del porto: era l’esodo albanese.
Quel paese, che nei giorni di cielo terso è visibile dai punti alti della città, era imploso su se stesso e la guerra civile una vicenda quasi inevitabile. A decine di migliaia si riversarono nei porti di Durazzo, Valona, aspettando solo di salire sulla prima imbarcazione che li portasse via dalla fame, dall’assenza di libertà, dalle prigioni e dallo sfruttamento.
Quando arrivarono, lo Stato Italiano non c’era, (per chi vive da queste parti non c’è mai stato), ma ventimila profughi stipati su una banchina erano qualcosa di incredibile per chiunque sia stato testimone di quella vicenda. E dunque, lo stato non c’è, ma i brindisini sì, loro hanno dato una lezione di accoglienza a tutta l’Italia, organizzando centri di primo soccorso, chiudendo le scuole per farle diventare dormitori, accogliendoli anche nelle proprie abitazioni. Qualcuno propose addirittura la medaglia al valor civile per la città, qualcun’altro mosse feroci critiche sulla totale assenza delle istituzioni centrali, che anche quando timidamente tentarono di organizzare i soccorsi, vennero sistematicamente battute in efficienza dalla spontanea reazione della popolazione.
In questi giorni Brindisi vuole ricordare quei giorni incredibili, con una serie di belle iniziative, chiamate “Brindisi città ospitale.
La memoria è utile solo se è critica, e non retorica, come vorrebbero alcuni. Non possiamo dimenticare, infatti, che solo sei anni dopo quei giorni indimenticabili, il 28 marzo del 1997, a largo delle coste di Otranto lo stato italiano, per mano della corvetta Sibilla, speronò una carretta del mare, la Kater I Rades, affondandola e provocando la morte di circa cento migranti. Lo stato si è autoassolto, naturalmente, e lo farà anche nel prossimo appello. Noi i colpevoli li conosciamo, e non abbiamo bisogno di processi per individuarli. Sono gli stessi che oggi giustificano l’esistenza dei moderni lager della democrazia.