Dice un cantante romano più o meno famoso:
c’è chi ha detto “basta adesso è troppo, mo me riposo, poi, domani lotto”, s’è risvegliato ch’era tutto rotto.
Sono tempi terribili. Non vi sono certezze, tutto è messo in discussione, persino le cose basilari come l’accesso all’acqua, o il bisogno di una casa, o la possibilità di decidere le sorti della terra dove si vive, o la possibilità di scegliersi un posto tranquillo dove andare a vivere (possibilmente migliore di quello di provenienza).
Sono tempi bui. Chi ha il potere sente, come noi comuni mortali, l’avvicinarsi del punto di non ritorno (ma forse lo abbiamo già passato da tempo), e allora, o tenta di mettere delle pezze, per allontanare la rabbia che inevitabilmente le diseguaglianze portano con loro, oppure tira dritto, e con campagne informative che hanno solo il sapore del lavaggio del cervello, diffonde paura e dice: va bene la protesta, ma pacifica, altrimenti sarà leggittimato l’uso della forza.
Provate a spiegare ai migranti pestati e maltrattati nei cie d’Italia che devono starsene buoni e zitti.
Provate a spiegare a un valliggiano della ValSusa che i metodi per la protesta devono essere democraticamente accettati.
Spiegate ad un precario, ad un disoccupato o ad uno studente che l’unico modo per ottenere il proprio futuro sia quello di votare per il cambiamento.
Spiegate ad una donna che ha subito violenza che non le accadrà mai più.
Spiegate ad una famiglia sotto sfratto che un’occupazione è illegale e controproducente.
Lasciate stare. Con quell’immigrato non potrete neanche parlarci, recluso com è in un lager, impegnato a scansare i colpi di maganello o i lacrimogeni che irritano e incendiano.
Il precario o il disoccupato, saranno ancora in giro a cercare un lavoro che non sia una forma di schiavitù (legalizzata o meno, poco conta).
Il valliggiano ti guarderà, sorridendo per le cose che dici, ma continuerà a tagliare alberi da mettere di traverso sulle sue strade.
Quella famiglia, poi, sarà impegnata a rendere dignitosa e abitabile l’ennesima casa vuota e abbandonata, e non avrà certo il tempo per annusare nell’aria il cambiamento, quell’illusione tutta tua.
Mi piace, e perciò lo faccio, dedicare un pensiero a tutti quelli che oggi dovranno lasciare la propria casa, senza avere un altro posto dove vivere.
Dedico un altro pensiero a tutti quelli che oggi apriranno il rubinetto dell’acqua e non ne avranno, perchè il pubblico, l’acqua, te la taglia lo stesso, se non hai soldi.
Dedico queste parole a tutti i miei fratelli rinchiusi solo perchè sono nati poveri, o in mezzo ad una guerra. In particolare voglio salutare un amico, M., che per fuggire da un lager è finito in un carcere.
Poi voglio salutare tutti quelli che in carcere ci finiscono perchè non hanno abbassato la testa, e non essendosi ravveduti là dentro ci marciranno.
A tutti quelli che invece fanno finta di niente, guardano altrove, anche se tutto ciò gli accade sotto casa, solo il massimo disprezzo. E le mie più sentite scuse, se vi ho smorzato gli entusiasmi o il vento ora si è fatto fastidioso.