Il lavoro rende liberi (?)

L’immigrazione attuale si inserisce in un periodo critico dell’economia italiana, una crisi che gli esperti indicano come l’inizio di una discesa inarrestabile del modello economico liberista. Tale modello mostra le sue debolezze, lì dove non è in grado di utilizzare le sue potenzialità e risorse a favore delle popolazioni più povere del pianeta, le quali si riversano in cerca di migliori condizioni di vita, negli stessi paesi che nel periodo coloniale hanno depauperato le loro terre e lasciato che sprofondassero nella povertà e vivessero la loro esistenza sottomessi a regimi perlopiù dittatoriali, tenuti in piedi anche grazie alla passività, in alcuni casi peggio ancora compiacenza, dei paesi europei.

Gli emigranti delle coste meridionali del mediterraneo possono essere osservati sotto un’ottica che evidenzia il riflesso inverso, l’esternalità negativa di una spartizione della ricchezza che non ha messo al centro delle sue azioni l’umanità intera, ma solo una sua piccola parte. La povertà di interi continenti porta con sé i geni del colonialismo, e ne è la sua diretta conseguenza.

La crisi che investe l’Europa rende meno lontana dalla nostra esperienza la realtà di quei continenti, la povertà non è ancora così diffusa, ma la difficoltà di vivere seguendo il tenore di vita su cui ci siamo comodamente adagiati da tempo è una condizione tangibile da molti.

In questa situazione gli immigrati creeranno non pochi problemi, in quanto molti di loro, si offriranno sul “mercato delle occupazioni” a condizioni più vendibili degli autoctoni. Ne conseguiranno malumori e conflitti, e i migranti saranno il capro espiatorio più facilmente raggiungibile da coloro che avranno perso il lavoro a seguito del loro arrivo. Si giungerà presto a giustificare violenze e soprusi a danno dei migranti, e questo gruppo di uomini sarà perseguitato in proporzione al “danno che provoca”.

Si potrà ipotizzare che le istituzioni preposte alla sicurezza si prodigheranno affinché questi atti siano rigidamente condannati e avvieranno una campagna di repressione delle azioni violente a danno dei migranti. Così gli ex-operai diventeranno vittime, a loro volta, dell’azione statale. I malumori, la povertà, il conflitto non si arresterà, ma più disoccupati entreranno nel gruppo di rivolta, più si alimenterà la “caccia all’immigrato”.

In questa guerra fra poveri a non perder nulla, ma a guadagnarci tanto, saranno le imprese. Gli imprenditori considereranno conveniente assumere braccia forzute a basso costo, nessuno potrà imporre loro di assumere necessariamente italiani, i migranti saranno la loro salvezza in un periodo di crisi profonda.

E’ importante chiarire un elemento imprescindibile per la comprensione di quanto sopra: i lavoratori che perderanno il posto di lavoro non saranno coloro che occupano le fasce medio-alte della scala occupazionale, ma i braccianti agricoli, gli operai di bassa qualifica, coloro che sono occupati nell’ambito dell’assistenza alla persona, gli addetti alle pulizie domestiche, i camerieri. Rimarranno disoccupati coloro che in un’azienda occupano la fascia più bassa e percepiscono il minor salario.

La crisi economica ha già dato la prima zappa sul piede a tutti loro, il colpo di grazia avverrà non appena molti immigrati saranno regolarizzati e moltiplicheranno l’offerta di lavoro.

Ciò che le aziende produrranno, difficilmente sarà usufruibile da questa fascia di italiani, che verseranno in una condizione problematica, e busseranno alla porta dell’assistenza sociale, dalla quale riceveranno sempre meno in proporzione inversa a quanti faranno lo stesso. Molte famiglie decideranno di emigrare, magari nel nord Europa, in Germania o negli Stati Uniti d’America, ripercorrendo le tratte dei loro predecessori. In quei paesi subiranno le stesse discriminazioni che i migranti subiscono in Italia, oppure troveranno un lavoro a condizioni più appetibili per il datore di lavoro, ma non per quegli autoctoni che se lo vedranno sottratto.

In Italia gli immigrati che avranno trovato lavoro, si sentiranno al sicuro solo in azienda, fuori ci sarà chi vorrà vendicarsi, vivranno nella paura e staranno lontani dai luoghi di aggregazione di italiani, degli italiani più vicini alla loro condizione più di chiunque altro, poiché quello che percepiranno dal loro lavoro sarà simile a ciò che lo Stato garantirà ai disoccupati.

Questa uguaglianza, questo punto comune, potrà trasformarsi in bisogno comune, in rivendicazione comune, in lotta comune. Per prendere consapevolezza dei bisogni che accomunano l’umanità intera sarà necessario questo tragico passaggio. Lo scambio di ruoli è l’unico mezzo in grado di fornire la comprensione quasi completa del disagio dell’altro.

La ricostituzione di una classe di lavoratori che si riconosce nuovamente come portatrice dello stesso interesse, creerà le condizioni di un nuovo cambiamento, nel quale i protagonisti non avranno la stessa nazionalità e probabilmente non parleranno la stessa lingua, ma saranno in grado di rivendicare gli stessi diritti. Se tale forza rimarrà costante, il cambiamento dovrà necessariamente straripare i confini nazionali, in quanto non sarà possibile assicurare le stesse condizioni di lavoro a tutti nello stesso Stato. L’unica soluzione possibile sarà quella di ripartire l’enorme ricchezza detenuta da pochi, seguendo il principio della centralità dell’uomo, come abitante di diversi continenti ma soggetto agli stessi bisogni primari. L’uguaglianza degli uomini non potrà più rimanere un principio enunciato solo nelle aule di un tribunale, dovrà diventare spartizione di denaro, occupazione per tutti, investimenti a fondo perduto.

Questa soluzione non può essere né proposta né realizzata al momento, in quanto la povertà non si è diffusa in maniera radicale, il migrante è percepito come lontano dall’esperienza di ognuno, diverso, troppo diverso. Il bisogno di un bracciante italiano non è ancora simile a quello di un bracciante tunisino, affinché diventi lo stesso è necessario il tragico passaggio.

 

 

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