M. è un nostro amico, ma non lo conosciamo.
Lo abbiamo visto per la prima volta in un’aula di tribunale. Era nella cella di sicurezza che tutte le aule di giustizia predispongono per l’arrivo dei detenuti. Era, insieme ad altri due suoi compagni, in arresto perché accusato di resistenza a pubblico ufficiale.
M. lo abbiamo conosciuto per telefono, il giorno stesso del suo tentativo di fuga dal CIE di Restinco. Ci ha detto che la mattina, assieme ad altri detenuti, aveva provato a scappare, ma lo avevano ripreso. Condotto in uno stanzone, isolato dagli altri, era stato avvertito che lo avrebbero portato in carcere.
“Questo ce l’ha con me (riferendosi all’ispettore di polizia che lo sorveglia) mi sta minacciando, ha detto che mi porta in galera”.
Poi ha dovuto chiudere la conversazione con noi.
M. quella mattina ha trovato una scala vicino ad una impalcatura nel CIE, l’ha presa e l’ha messa sul muro di cinta che chiude il centro e lo isola dal mondo esterno. Ha chiamato i suoi amici e ha capito che doveva approfittare del momento. Mentre gli altri scavalcavano lui teneva la scala, e quando si sono avvicinati i poliziotti ed i militari del battaglione San Marco, lui ha brandito la scala contro di loro per tenerli lontani.
Non ha colpito nessuno, M., né ferito nessuno. Ma questa si chiama resistenza a pubblico ufficiale.
Al processo, quel giorno, dietro le sbarre della sua cella, guardava tutti con uno sguardo rassegnato e disorientato. Avendo già dei precedenti penali, M. sapeva che questa volta non l’avrebbe passata liscia. Il processo, per direttissima, ha emesso la sentenza: 1 anno e 2 mesi di reclusione senza pena sospesa per lui, 4 e 6 mesi per i suoi compagni che con la sospensione torneranno nel CIE immediatamente.
M. ha detto a tutti che lui non ha fatto niente, che ha solo provato a scappare, ma non ha convinto nessuno.
Il giudice, e tutti gli uomini di tribunale sono troppo impegnati, troppo stressati dalla solita routine per concedergli qualche minuto in più.
M. adesso è in carcere.
Dopo esser stato recluso in 3 CIE diversi, si sono aperte le porte di “Via Appia”, senza sapere quando si riapriranno.
Una storia così sarà all’ordine del giorno per chi, come M., tenta di farsi una vita migliore, e sarà altrettanto normale per i giudici che lo hanno giudicato, per direttissima, in poco più di mezz’ora.
Non avrà tutti i torti, M., se penserà che l’Italia non è un bel posto per provare a ricominciare.
Dentro, a Restinco, tutti pensano che “M. è una grande persona”, perché nonostante tutto, quel giorno, ha regalato ad un recluso la libertà.
Se volete scrivere a M. potete farlo a crocco@autistici.org , noi recapiteremo tutto direttamente a lui. Questo passaggio in più vuole semplicemente tutelare la sua privacy.
Gruppo NO-CIE Brindisi.